Ricordi di gioventù…
Il Campanile di Brabante
di Paolo Pellegrini
Negli
anni del primo dopoguerra, quando io e i miei coetanei avevamo appena superato
i 15 anni, le imprese che Tissi, Andrich, Rudatis, Bianchet,
Parizzi e Zanetti avevano compiuto sulle cime dolomitiche ci
esaltavano grandemente e spingevano all’emulazione di questi validissimi
arrampicatori bellunesi. Il desiderio di essere come loro si esauriva però, per
la nostra giovane età, nell’arrampicare sui massi scoscesi della “masiera” del
Mas dove gli stessi alpinisti avevano individuato una palestra di roccia in cui
erano stati tracciati degli itinerari classificati secondo i vari gradi di
difficoltà alpinistica in uso a quei tempi.
Così c’era il masso del 3°, del 4° del 5° e quello del 6° grado sui quali ci esercitavamo con sempre maggior impegno e perizia. Il masso su cui si svolgeva un itinerario classificato di 6° grado superiore era una roccia strapiombante, alta circa 15 metri, attraversata da una fessura obliqua che partiva dalla base e raggiungeva in diagonale la cima del masso su cui si ergeva un arbusto attorno al quale facevamo scorrere la corda, per l’assicurazione dall’alto, che manovravamo però dalla base del sasso. La salita consisteva nel percorrere la paretina strapiombante usufruendo con le mani degli appigli offerti dalla fessura obliqua e puntando i piedi sulla parete come in una tecnica alla Dülfer. Poiché la cima strapiombava rispetto alla base di circa due metri, il corpo di chi saliva si trovava sempre in contrappeso senza la possibilità di un riposo.
A
metà parete vi era però un minuscolo appoggio per i piedi che rappresentava,
per chi era stato in grado di raggiungerlo, un traguardo molto ambito tanto che
gli alpinisti di cui sopra l’avevano soprannominato “la birra”, nel senso che
chi lo raggiungeva aveva diritto, da parte degli amici che non vi erano
riusciti, all’offerta di una birra.
La
maggior parte dei nostri tentativi di raggiungere la birra, o addirittura di
salire fino all’arbusto sulla cima del masso, si concludeva con il distacco
dalla parete per mancanza di forze alle mani ed agli avambracci e con un volo a
pendolo cui seguiva la calata a sacco fino alla base.
Un
giorno i nostri sforzi si svolsero alla presenza proprio di Tissi, Zanetti
e Parizzi i quali bonariamente ridevano delle nostre cadute ma nello
stesso tempo erano ammirati dalle nostre promettenti capacità. Col tempo e con
l’allenamento le nostre performances migliorarono tanto che alcuni di noi non
solo raggiungevano “la birra”, ma riuscivano ad arrivare in cima al masso.
Si
diceva che i passaggi su quella fessura obliqua erano molto simili a quelli che
Tissi aveva superato in arrampicata libera quando con re Leopoldo del
Belgio aveva conquistato la cima di una guglia sul lato ovest della grande
parete del Civetta cui aveva dato il nome di Campanile di Brabante
per onorare il suo illustre cliente.
Era
questo un campanile la cui via di accesso era stata individuata da Tissi
in un terrazzo, posto tra il campanile e la parete del Civetta, che
consentiva di iniziare la salita sul versante a monte della guglia, mentre il
versante a valle presentava, al livello del terrazzo, già un’esposizione di un
centinaio di metri. Così, appena lo scalatore, in una breve traversata obliqua
iniziava l’ascensione, si trovava dopo pochi metri in esposizione assoluta sul
vuoto.
Era opinione comune nell’ambiente alpinistico che quel tratto in arrampicata libera rappresentasse il passaggio più difficile di tutti gli itinerari aperti sulle cime dolomitiche.
Si capiva quindi benissimo il motivo per cui ogni arrampicatore ambiva di poter vantare nel proprio curriculum il superamento di quel passaggio, vinto il quale, si raggiungeva con minori difficoltà la cima del campanile da cui si scendeva con una carambolesca calata a corda doppia, prima sulla cima di una piccola guglia chiamata “ il Bocia” e poi con una seconda calata fino alla base del campanile.
1933 - 2 settembre. Attilio Tissi, Giovanni Andrich, Domenico Rudatis, Carlo Franchetti e il principe Leopoldo di Brabante in arrampicata libera conquistano il Campanile di Brabante (Civetta). Il Campanile di Brabante è una torre di roccia di modeste proporzioni, ma Attilio Tissi durante la prima salita superò all’inizio una paretina strapiombante con un solo chiodo d’assicurazione, vincendo in stile elegantissimo e pulito un passaggio di assoluto VI° grado. Ancora oggi, il “passaggio d’attacco” del Brabante è un vero e proprio “test” per l’arrampicatore, e non sono pochi anche i nomi celebri e famosi che hanno dovuto arrendersi di fronte alle difficoltà. Altri invece, volendo passare ad ogni costo, hanno riempito il passaggio di chiodi ed hanno anche usato le staffe…!.
1957 – Uno sconosciuto belga, di nome Claude Barbier, inizia la danza delle sue solitarie, nate dalla mancanza cronica di compagni e da sue esigenze caratteriali. La sua prima solitaria è la salita del Campanile di Brabante nel gruppo del Civetta.